Dietro ogni nome c’è un racconto. E quello di Tre Pievi, che oggi identifica un territorio tra i più autentici del Lago di Como, nasce da una storia antica, intrecciata a fede, geografia e potere. Un nome che non è solo un riferimento storico, ma una chiave per comprendere l’identità profonda dell’Alto Lario, il suo legame con il lago e con le montagne che lo abbracciano.
Le “Tre Pievi” — Gravedona, Dongo e Sorico — erano, fin dal Medioevo, i tre centri religiosi e amministrativi più importanti dell’estremo Nord del Lario. La parola pieve, dal latino plebs, indicava originariamente la comunità dei fedeli riunita attorno alla chiesa principale del territorio. Prima ancora che si formassero i comuni, erano proprio le pievi a organizzare la vita religiosa e civile: custodivano i battisteri, registravano le nascite, distribuivano aiuti, raccoglievano imposte e amministravano la giustizia locale.
In un’epoca in cui le strade erano poche e il lago rappresentava la via di comunicazione più sicura, le pievi erano veri punti di riferimento per chi abitava sulle sponde e nelle valli circostanti. Il loro territorio di competenza si estendeva dalle rive alle montagne, comprendendo piccoli borghi, contrade e alpeggi. Ogni pieve aveva la sua chiesa madre, i suoi sacerdoti, i suoi notai e, soprattutto, la propria autonomia.
Il nome “Tre Pievi” compare nei documenti per la prima volta attorno all’anno 1000, quando l’intera zona era contesa tra i signori locali e il vescovado di Como. Le pievi di Gravedona, Dongo e Sorico formarono un’unione, una sorta di confederazione ante litteram, per difendere i propri diritti e la propria indipendenza. Si trattava di una realtà fortemente legata alla montagna e al lago, capace di mantenere una certa libertà anche nei secoli successivi, nonostante i cambi di dominio — dai Comaschi ai Milanesi, fino agli Sforza e poi ai Grigioni.
La loro storia è segnata da un profondo senso di appartenenza territoriale. A Gravedona, la Pieve di Santa Maria del Tiglio rappresentava il cuore spirituale della comunità: con la sua architettura romanica in pietra chiara e scura, è ancora oggi uno dei simboli più riconoscibili dell’Alto Lago. A Dongo, la Pieve di Santo Stefano si arricchì di affreschi e opere d’arte, divenendo centro religioso ma anche culturale, punto d’incontro per mercanti e pellegrini. Sorico, con la Pieve di San Vincenzo, mantenne un carattere più raccolto, quasi eremitico, legato al mondo rurale e ai percorsi che conducevano verso la Valtellina e i valichi alpini.
Oltre al valore religioso, le Tre Pievi avevano anche una funzione politica. Durante il Medioevo e fino all’età moderna, rappresentavano una comunità autonoma, riconosciuta come entità unitaria. I loro rappresentanti partecipavano alle assemblee e stipulavano accordi con poteri maggiori, tra cui i duchi di Milano e i cantoni svizzeri. Nel XVI secolo, quando i Grigioni occuparono la Valtellina e parte del Lario, le Tre Pievi si trovarono in una posizione strategica e fragile al tempo stesso: erano la frontiera tra il mondo italiano e quello alpino, tra le due culture che ancora oggi si incontrano in questo territorio.
Proprio in questo equilibrio tra due mondi si può leggere la forza del nome. “Tre Pievi” non è soltanto una formula storica, ma un simbolo di coesione, di dialogo e di resilienza. Tre centri distinti ma uniti da un lago, da una fede e da un destino comune. La loro eredità vive ancora oggi non solo nelle chiese, ma nel paesaggio stesso: nei campanili che si rispecchiano sull’acqua, nei sentieri che collegano i borghi, nei dialetti che conservano echi di latino e influssi svizzeri.
Camminando lungo il tratto di costa che unisce Gravedona a Sorico, si percepisce questa continuità. Ogni paese ha la sua voce, il suo ritmo, ma tutti condividono lo stesso orizzonte. È facile immaginare i barcaioli che, secoli fa, attraversavano il lago portando messaggi, merci e notizie da una pieve all’altra. O i monaci e i pellegrini che seguivano i sentieri di montagna per raggiungere i luoghi di culto, fermandosi nei piccoli oratori sparsi tra i castagni.
Oggi il nome Tre Pievi è tornato a indicare un territorio che vuole riscoprire e valorizzare la propria identità. Non si tratta di un’operazione nostalgica, ma di un modo per dare continuità a una storia che non si è mai interrotta. In un mondo che tende ad uniformare, le Tre Pievi rappresentano la memoria di una comunità che ha saputo mantenere un equilibrio tra appartenenza e apertura, tra radici e futuro.
Chi percorre questi luoghi — a piedi, in bici o anche solo con lo sguardo — si accorge che ogni elemento parla di questa eredità: le pietre delle chiese, i muretti dei terrazzamenti, le parole dei dialetti, perfino il ritmo del vento e dell’acqua. Il nome Tre Pievi non è soltanto un ricordo del passato, ma una dichiarazione di identità: quella di un territorio che, da secoli, continua a credere nella forza dell’unione e nella bellezza della diversità.